Chi non si porta dietro traumi giovanili alzi la mano.
Ecco, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu, con le cuffiette nelle orecchie, non fai testo, non avendo ascoltato la domanda.
Ora, tornando a noi, è innegabile che l'origine di questo tipo di trauma non sia necessariamente da ricercarsi in cose gravi; le cause, infatti, possono tranquillamente nascondersi nelle situazioni più comuni.
Per quanto riguarda me, ad esempio, il mio primo trauma deriva dal nome.
Vi chiederete come mi chiamo ed io sono qui pronta a dirvelo, nascondendo un lieve rossore sulle guance.
Marilù, mi chiamo Marilù. Ecco l'ho detto.
E cosa vuoi che sia? Vi chiederete voi.
Certo, paragonato a certi nomi che si usano oggi come Chanel o Maria Lourdes, per citarne due fra i più noti, il mio nome stupisce come un piccolo sasso gettato nello stagno, ma vi assicuro che durante la mia adolescenza la situazione era davvero diversa.
In mezzo a tante Maria, Francesca, Chiara, che senso aveva chiamare una bambina Marilù?
Mentre imparavo a convivere con questo nome nasceva in me un nuovo dramma, Barbie o macchinine?
Genitori, amici, parenti davano per scontato che una piccola bimba dagli occhi verdi e i boccoli d'oro dovesse per forza preferire quell'ammasso di plastica con i capelli incorporati al posto di quei piccoli oggetti di metallo.
Come forse avrete capito, però, non era questo il caso.
La Barbie, niente di più inutile per me, o meglio utilissima solo a testare la resistenza dei denti.
Non guardatemi con quella faccia perplessa ora.
Chi di voi non ha mai masticato i piedi alle Barbie alzi la mano.
Ecco, per l'ennesima volta, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu, con le cuffiette nelle orecchie, ancora non fai testo, non avendo ascoltato la domanda.
Le macchinine di ferro, indistruttibili, assolutamente impossibili da masticare, le porto nel cuore ancora oggi.
I garages fatti con le scatole da scarpe, le piste delimitate dai mattoncini Lego, indimenticabili!
Archiviato il capitolo nome e dopo aver convinto tutti che un Natale non può essere felice senza le macchinine sotto l'albero, è arrivato il dramma dell'adolescenza sotto le spoglie della classica pin up bionda.
Valentina ricordo ancora il nome, ma quello che realmente non dimentico è il suo smalto sulle unghie, le sue sopracciglia perfette, i suoi capelli mai fuori posto.
Una Barbie, ecco cosa mi ricordava Valentina ogni volta che entrava in classe la mattina.
Peccato, però, non si potesse masticarle i piedi!
Chi di voi non si è mai chiesto come facessero quei capelli a non perdere mai la messa in piega alzi la mano.
Ecco, mi devo ripetere, come immaginavo, nessuno o quasi.
Sempre tu, con le cuffiette nelle orecchie, non sarebbe il caso di iniziare ad ascoltare?
Poi sono arrivati i miei sedici anni, le prime feste che ricordo ancora con una malcelata angoscia.
Valentina sempre pronta in prima fila con i suoi capelli perfetti che lasciavano però il palcoscenico a un seno prominente che certamente non passava inosservato.
A chi tutto e a chi niente!
Ora voi potete solo immaginare mentre, vi assicuro, ai tempi della scuola, i maschietti passavano il loro tempo a guardare.
Ricordo ancora la prima festa, il mio vestito in taffettà, a come mi sentissi emozionata mentre lo indossavo e a come tentavo di vincere l'imbarazzo fra la gente.
C'ero quasi riuscita quando è entrata lei, Valentina, con un vestito che stava sù da solo, sorretto da due grandi respingenti.
Era così sicura di sé che le avrei volentieri fatto lo sgambetto per vedere se, cadendo, si sarebbero scompigliati i capelli.
E invece niente, uno a zero palla al centro.
Va bene, lo ammetto, tutto quello che vi ho raccontato fino ad ora, non è poi così grave se non si considera il malessere segreto che mi rendeva così insofferente nei confronti di quella platinata pin up.
Per spiegarvelo, però, ho bisogno di fare una breve premessa parlandovi di scarpe.
Sono cresciuta con una madre che potrei definire, senza aver paura di esagerare, una delle principali azioniste dell'industria calzaturiera italiana.
Nella sua immensa scarpiera, in mezzo a ballerine blu, infradito rosse, stivaletti marroni, ricordo ancora, con una precisione tale che potrei descriverle nel minimo dettaglio, un paio di decolté nere con il tacco.
Adoravo quelle scarpe e più le guardavo più mi convincevo fossero perfette con il mio vestito nuovo di taffettà scelto per la festa.
Come una Cenerentola, momentaneamente senza principe, mi accingevo allora a provarle insieme a mia madre, miracolosamente al mio fianco.
Non so dirvi se l'emozione che provo al momento sia per il ricordo delle scarpe o per la presenza che mi stava accanto.
Fate voi, io sto già raccontando oltre a quello che solitamente sono in grado di fare.
Le scarpe mi calzavano alla perfezione e la camminata, nonostante la goffaggine, risultava tutto sommato sicura.
Sarebbe stato tutto perfetto se qualcuno non avesse inventato lo specchio.
La mia immagine riflessa palesava, infatti, il mio incubo segreto che mi perseguitava da tanto tempo.
Più mi guardavo e meno mi piacevo, più cercavo di essere rassicurata e meno mi convincevo.
Ricordo ancora la mia espressione disperata mentre dicevo a mia madre che sembravo Briegel con quei polpacci e lei che mi rispondeva di non essere sciocca, che al massimo le caviglie mi potevano sembrare un po' grosse.
Non lo avesse mai detto!
Senza dire una parola ho tolto le scarpe per indossare un paio di ballerine che, certo non avrebbero nascosto il polpaccio, ma almeno non lo avrebbero fatto notare; questo, stupidamente, continuavo a pensare.
Alla festa, per rispettare il detto 'piove sempre sul bagnato', Valentina indossava un paio di scarpe nere col tacco che, se non le avessi provate io stessa pochi minuti prima, le avrei scambiate per quelle di mia madre.
Chi di voi non si è mai sentito, almeno per una volta, inadeguato alzi la mano.
Ecco, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu con le cuffiette nelle orecchie, questa volta dovresti proprio partecipare.
Ora, detto fra noi, io, Marilù, non ero poi proprio da buttare.
Quei polpacci insieme a quelle scarpe col tacco però erano davvero “un matrimonio che non s’ha da fare”.
Chiedo scusa, sto divagando, sarà meglio tornare alla festa e continuare a raccontare.
Il momento del ballo era arrivato e sulle note di “Hey Boy, Hey Girl”, grande successo dei Chemical Brothers, ricordo ancora Valentina togliersi le scarpe per essere più comoda e iniziare a ballare.
Ebbene sì, anche le pin up a sedici anni hanno ancora cose da imparare!
Finita la musica, il silenzio improvviso era rotto solo dal pianto di Valentina che aveva ormai perso la sua scarpina.
Qualcuno le aveva sottratto il decolté, approfittando della sua distrazione durante il ballo.
Non abbiate dubbi comunque, l’allarme sarebbe purtroppo presto rientrato.
Il suo principe, infatti, sotto le spoglie di un padre sempre presente, sarebbe arrivato dopo poco, in soccorso della sua Cenerentola, con un paio di scarpe pronte all'uso e il danno sarebbe stato così riparato.
Chi non ha sorriso, almeno per un secondo, per la scena appena narrata, alzi la mano.
Ecco, come immaginavo nessuno o quasi.
Tu con le cuffiette nelle orecchie, stai ridendo. Allora riesci comunque ad ascoltare!
Ora che, a distanza di anni, ho imparato a convivere con le “Valentina” di turno, ma non con i polpacci alla Briegel, posso provare a spiegarvi le motivazioni occulte di tutta l'invidia che portavo nel cuore.
Valentina aveva una madre, sempre al suo fianco, che le aveva inculcato come accentuare quella femminilità che a me assolutamente mancava.
Col senno di poi posso assicurarvi che il mio rancore nei confronti di Valentina si limitava al fatto di non avere anch'io una madre sempre accanto.
Come immagino molte figlie di genitori divorziati, ho passato l'adolescenza ad aspettare che la figura femminile più importante della mia vita tornasse a casa da lavoro e, pur di passare qualche minuto insieme, anche le sopracciglia mi sarei fatta sistemare.
Penserete che siano futili motivi per provare invidia o malcelato rancore ma, vi assicuro, a sedici anni nulla era per me più importante che riuscire a condividere con mia madre anche solo qualche breve istante.
Con il complesso del polpaccio stile Briegel vado avanti ancora oggi ma mi porto una nuova certezza, ben salda in fondo al cuore, anche chi nasce un po' maschiaccio, è femminile quando vuole.
Ah! Quasi dimenticavo!
Sono stata io a nascondere le scarpe di Valentina durante la festa e le ho nascoste così bene che credo le cerchi ancora.
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