domenica 24 aprile 2011

Nostalgicamente Pasqua

La Pasqua delle colombe e delle uova al cioccolato.
La Pasqua delle famiglie riunite insieme a pranzo.

È in giorni come questo che riaffiora un po' il dolore 
che si riassume nella mancanza che custodisco nel profondo.
Ci sono posti a tavola destinati a rimanere vuoti 
da riempire di ricordi. 
I posti di una famiglia che non è morta nel mio cuore.
Oggi nella mia Pasqua ho apparecchiato anche per loro.
È il mio modo per ringraziare e stringere ancora
chi c'è stato nel passato e mi fa vivere nel ricordo del suo amore.

La mia mente vi ricorda e il mio cuore è con voi.

Leonard Cohen "Halleluja"

domenica 17 aprile 2011

Il mio personale negozio di fiducia

Mi sistemo i capelli, ammirandomi nel mio specchietto tascabile, scendo dalla mia vecchia macchina, passo oltre i sacchetti della spazzatura e, guardandoli, sorrido.
Non mi curo della coda di veicoli in ingresso al parcheggio, non mi importa, questa è la mia domenica e niente potrebbe rovinarla. 
Con indosso il mio vestito migliore, ferma davanti alla porta scorrevole, tiro un profondo sospiro e entro nel mio personale paese dei balocchi.
Musica, luci, colori si impossessano di me mentre cammino, lenta, davanti alle vetrine per non perdermi neanche il minimo dettaglio.
"Questa è solo l'anticamera", penso estasiata.

Gonne lunghe, corte, grigie, nere o colorate fanno bella mostra di sè insieme a magliette di ogni tinta e misura.
Mi trovo a immaginarmi mentre indosso ogni capo, simulando il mio personale defilè.
"Non è facile scegliere", mi ripeto, specchiandomi nella vetrina, fino a quando un completo, gonna e camicetta, rosa chiaro, esposto alla mia destra, attira definitivamente la mia attenzione. 
La scelta è fatta senza ulteriori esitazioni.

Una signora, splendidamente vestita passa oltre, lasciandosi dietro una leggera scia di profumo.
Quasi ipnotizzata, la seguo, cercando di emulare il suo incedere fiero e deciso, fino a trovarmi all'interno di un’enorme profumeria, ormai sopraffatta da mille essenze che mi aggrediscono le narici.
Centinaia di boccette colorate mi si parano davanti, tutte meticolosamente esposte su immensi scaffali.
Una ragazza bionda, sulla trentina, intenta in un’animata conversazione al cellulare, mi passa accanto e, quasi senza notarmi, allunga una mano verso una boccetta, si spruzza sul polso una leggera scia di profumo e si allontana.
Mi guardo intorno e, come un bambino pronto a scartare i suoi regali di Natale, emulo gli stessi gesti appena visti compiere, poi, avvicinando il polso al naso, mi lascio rapire da quel profumo dolciastro. Una lacrima mi bagna il viso, commossa, esco dal negozio e mi siedo su una delle panchine, schierate in perfetto ordine, al centro di quell’immenso corridoio sul quale si affacciano vetrine piene di luci e colori.
Dal mio personale posto in prima fila sul mondo, osservo l’andirivieni che mi si para davanti e mi godo ogni momento di quell’immensa emozione.

Immaginandomi avvolta nel mio nuovo completo rosa chiaro e lasciandomi inebriare dal profumo, mi dirigo verso l'ingresso del supermercato.
Accanto al reparto “frutta e verdura”, vicino al banco frigo, preposto allo stoccaggio dei latticini, intravedo una donna in divisa verde acceso, intenta a tagliare tanti piccoli cubetti da una forma di formaggio, per offrirli come assaggio agli avventori intenti nei loro acquisti.
E’ l’ora di pranzo e un leggero languore mi spinge, in maniera quasi del tutto inconsapevole, a dirigermi verso quella donna che mi porge, dopo una breve spiegazione di rito, il piccolo boccone.
Un leggero pizzicore mi invade la bocca, aumentandomi la salivazione; deglutisco estasiata e mi gusto ogni minima briciola di quel cubetto saporito.

Barattoli con etichette colorate, scatole di ogni forma e dimensione invadono scaffali che delimitano, dividendo in corridoi, questo immenso spazio adibito a supermercato.
Un bambino piange davanti alle confezioni delle merendine per farsi comprare dalla mamma, indispettita, l’ultimo concentrato di grassi uscito sul mercato, mentre, non distante, un anziano signore discute con la moglie, intenta ad ingaggiare la sua personale guerra contro i biscotti portatori sani di colesterolo.
Li osservo divertita qualche istante e passo oltre, ritrovandomi in coda davanti alle casse.
Nonostante non abbia fatto acquisti, sosto con gli altri clienti in attesa, osservandone il contenuto dei carrelli e provando a fantasticare sulla destinazione e l’uso di ogni singolo prodotto.
Senza accorgermene arriva il mio turno, una cassiera grassoccia mi accenna un saluto, con un sorriso le mostro le mani, vuote, ed esco a passo svelto dalla barriera delle casse.

Dopo un breve passaggio alla toilette delle signore, allo scopo di rinfrescarmi e sciacquarmi la bocca, ormai inesorabilmente impastata dal piccolo assaggio, mi accomodo sulla stessa panchina che mi ha ospitata in precedenza e continuo a osservare la gente, le loro dinamiche, fantasticando sugli eventuali acquisti che avrei potuto fare.

Esco dal centro commerciale mi avvicino ai sacchetti dei rifiuti, raccolgo una vecchia bambola abbandonata e, dopo averla infilata meticolosamente in un sacchetto col marchio di uno dei negozi appena ammirati, torno alla macchina.
Il mio personale acquisto era appena stato fatto nel mio unico negozio di fiducia.
Sistemo la bambola sul sedile del passeggero, vicino a una vecchia coperta di lana e un cuscino avvolto in un federa sgualcita.
Mi avvio verso la portiera dal lato guidatore, voltandomi un ultimo istante verso l'ingresso del centro commerciale.
Ancora colma di gratitudine verso la giornata appena trascorsa, monto in macchina e, specchiandomi nello specchietto retrovisore, sorrido in un misto di gioia malinconica. Il completo rosa non c'è più ma rimane quello splendido profumo che riempie lentamente l'abitacolo.
Stringendo forte al petto la mia nuova bambola, mi accomodo alla bene meglio sul sedile e, senza mettere in moto, chiudo gli occhi.

Il mio nome è Agata, sono una senzatetto e questa è la mia macchina, la mia unica casa.

Conoscersi, scoprirsi per poi condividersi.

James Taylor/Carole King
"You've got a friend"




Senza direzione certa andare, 
lasciarsi travolgere dalla differente bellezza custodita dai singoli. 
Toccare con mano quello che ognuno può darci, 
scoprendo un mondo fuori dalla portata dei nostri stessi occhi. 

In pratica uno dei tanti sensi da dare alla vita che io ho riscoperto oggi.


martedì 12 aprile 2011

Anche i polpacci di Briegel possono avere il loro fascino

Chi non si porta dietro traumi giovanili alzi la mano.
Ecco, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu, con le cuffiette nelle orecchie, non fai testo, non avendo ascoltato la domanda.
Ora, tornando a noi, è innegabile che l'origine di questo tipo di trauma non sia necessariamente da ricercarsi in cose gravi; le cause, infatti, possono tranquillamente nascondersi nelle situazioni più comuni.
Per quanto riguarda me, ad esempio, il mio primo trauma deriva dal nome.
Vi chiederete come mi chiamo ed io sono qui pronta a dirvelo, nascondendo un lieve rossore sulle guance.
Marilù, mi chiamo Marilù. Ecco l'ho detto.
E cosa vuoi che sia? Vi chiederete voi.
Certo, paragonato a certi nomi che si usano oggi come Chanel o Maria Lourdes, per citarne due fra i più noti, il mio nome stupisce come un piccolo sasso gettato nello stagno, ma vi assicuro che durante la mia adolescenza la situazione era davvero diversa.
In mezzo a tante Maria, Francesca, Chiara, che senso aveva chiamare una bambina Marilù?
Mentre imparavo a convivere con questo nome nasceva in me un nuovo dramma, Barbie o macchinine?
Genitori, amici, parenti davano per scontato che una piccola bimba dagli occhi verdi e i boccoli d'oro dovesse per forza preferire quell'ammasso di plastica con i capelli incorporati al posto di quei piccoli oggetti di metallo.
Come forse avrete capito, però, non era questo il caso.
La Barbie, niente di più inutile per me, o meglio utilissima solo a testare la resistenza dei denti.
Non guardatemi con quella faccia perplessa ora.
Chi di voi non ha mai masticato i piedi alle Barbie alzi la mano.
Ecco, per l'ennesima volta, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu, con le cuffiette nelle orecchie, ancora non fai testo, non avendo ascoltato la domanda.
Le macchinine di ferro, indistruttibili, assolutamente impossibili da masticare, le porto nel cuore ancora oggi.
I garages fatti con le scatole da scarpe, le piste delimitate dai mattoncini Lego, indimenticabili!
Archiviato il capitolo nome e dopo aver convinto tutti che un Natale non può essere felice senza le macchinine sotto l'albero, è arrivato il dramma dell'adolescenza sotto le spoglie della classica pin up bionda.
Valentina ricordo ancora il nome, ma quello che realmente non dimentico è il suo smalto sulle unghie, le sue sopracciglia perfette, i suoi capelli mai fuori posto.
Una Barbie, ecco cosa mi ricordava Valentina ogni volta che entrava in classe la mattina.
Peccato, però, non si potesse masticarle i piedi!
Chi di voi non si è mai chiesto come facessero quei capelli a non perdere mai la messa in piega alzi la mano.
Ecco, mi devo ripetere, come immaginavo, nessuno o quasi.
Sempre tu, con le cuffiette nelle orecchie, non sarebbe il caso di iniziare ad ascoltare?
Poi sono arrivati i miei sedici anni, le prime feste che ricordo ancora con una malcelata angoscia.
Valentina sempre pronta in prima fila con i suoi capelli perfetti che lasciavano però il palcoscenico a un seno prominente che certamente non passava inosservato.
A chi tutto e a chi niente!
Ora voi potete solo immaginare mentre, vi assicuro, ai tempi della scuola, i maschietti passavano il loro tempo a guardare.
Ricordo ancora la prima festa, il mio vestito in taffettà, a come mi sentissi emozionata mentre lo indossavo e a come tentavo di vincere l'imbarazzo fra la gente.
C'ero quasi riuscita quando è entrata lei, Valentina, con un vestito che stava sù da solo, sorretto da due grandi respingenti.
Era così sicura di sé che le avrei volentieri fatto lo sgambetto per vedere se, cadendo, si sarebbero scompigliati i capelli.
E invece niente, uno a zero palla al centro.
Va bene, lo ammetto, tutto quello che vi ho raccontato fino ad ora, non è poi così grave se non si considera il malessere segreto che mi rendeva così insofferente nei confronti di quella platinata pin up.
Per spiegarvelo, però, ho bisogno di fare una breve premessa parlandovi di scarpe.
Sono cresciuta con una madre che potrei definire, senza aver paura di esagerare, una delle principali azioniste dell'industria calzaturiera italiana.
Nella sua immensa scarpiera, in mezzo a ballerine blu, infradito rosse, stivaletti marroni, ricordo ancora, con una precisione tale che potrei descriverle nel minimo dettaglio, un paio di decolté nere con il tacco.
Adoravo quelle scarpe e più le guardavo più mi convincevo fossero perfette con il mio vestito nuovo di taffettà scelto per la festa.
Come una Cenerentola, momentaneamente senza principe, mi accingevo allora a provarle insieme a mia madre, miracolosamente al mio fianco.
Non so dirvi se l'emozione che provo al momento sia per il ricordo delle scarpe o per la presenza che mi stava accanto.   
Fate voi, io sto già raccontando oltre a quello che solitamente sono in grado di fare.  
Le scarpe mi calzavano alla perfezione e la camminata, nonostante la goffaggine, risultava tutto sommato sicura.
Sarebbe stato tutto perfetto se qualcuno non avesse inventato lo specchio.
La mia immagine riflessa palesava, infatti, il mio incubo segreto che mi perseguitava da tanto tempo.
Più mi guardavo e meno mi piacevo, più cercavo di essere rassicurata e meno mi convincevo.
Ricordo ancora la mia espressione disperata mentre dicevo a mia madre che sembravo Briegel con quei polpacci e lei che mi rispondeva di non essere sciocca, che al massimo le caviglie mi potevano sembrare un po' grosse.
Non lo avesse mai detto!
Senza dire una parola ho tolto le scarpe per indossare un paio di ballerine che, certo non avrebbero nascosto il polpaccio, ma almeno non lo avrebbero fatto notare; questo, stupidamente, continuavo a pensare.
Alla festa, per rispettare il detto 'piove sempre sul bagnato', Valentina indossava un paio di scarpe nere col tacco che, se non le avessi provate io stessa pochi minuti prima, le avrei scambiate per quelle di mia madre.
Chi di voi non si è mai sentito, almeno per una volta, inadeguato alzi la mano.
Ecco, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu con le cuffiette nelle orecchie, questa volta dovresti proprio partecipare. 
Ora, detto fra noi, io, Marilù, non ero poi proprio da buttare.
Quei polpacci insieme a quelle scarpe col tacco però erano davvero “un matrimonio che non s’ha da fare”.
Chiedo scusa, sto divagando, sarà meglio tornare alla festa e continuare a raccontare.
Il momento del ballo era arrivato e sulle note di “Hey Boy, Hey Girl”, grande successo dei Chemical Brothers, ricordo ancora Valentina togliersi le scarpe per essere più comoda e iniziare a ballare.
Ebbene sì, anche le pin up a sedici anni hanno ancora cose da imparare!
Finita la musica, il silenzio improvviso era rotto solo dal pianto di Valentina che aveva ormai perso la sua scarpina.
Qualcuno le aveva sottratto il decolté, approfittando della sua distrazione durante il ballo.
Non abbiate dubbi comunque, l’allarme sarebbe purtroppo presto rientrato.
Il suo principe, infatti, sotto le spoglie di un padre sempre presente, sarebbe arrivato dopo poco, in soccorso della sua Cenerentola, con un paio di scarpe pronte all'uso e il danno sarebbe stato così riparato.
Chi non ha sorriso, almeno per un secondo, per la scena appena narrata, alzi la mano.
Ecco, come immaginavo nessuno o quasi.
Tu con le cuffiette nelle orecchie, stai ridendo. Allora riesci comunque ad ascoltare!
Ora che, a distanza di anni, ho imparato a convivere con le “Valentina” di turno, ma non con i polpacci alla Briegel, posso provare a spiegarvi le motivazioni occulte di tutta l'invidia che portavo nel cuore.
Valentina aveva una madre, sempre al suo fianco, che le aveva inculcato come accentuare quella femminilità che a me assolutamente mancava.
Col senno di poi posso assicurarvi che il mio rancore nei confronti di Valentina si limitava al fatto di non avere anch'io una madre sempre accanto.
Come immagino molte figlie di genitori divorziati, ho passato l'adolescenza ad aspettare che la figura femminile più importante della mia vita tornasse a casa da lavoro e, pur di passare qualche minuto insieme, anche le sopracciglia mi sarei fatta sistemare.
Penserete che siano futili motivi per provare invidia o malcelato rancore ma, vi assicuro, a sedici anni nulla era per me più importante che riuscire a condividere con mia madre anche solo qualche breve istante.

Con il complesso del polpaccio stile Briegel vado avanti ancora oggi ma mi porto una nuova certezza, ben salda in fondo al cuore, anche chi nasce un po' maschiaccio, è femminile quando vuole.

Ah! Quasi dimenticavo!
Sono stata io a nascondere le scarpe di Valentina durante la festa e le ho nascoste così bene che credo le cerchi ancora.


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