mercoledì 16 novembre 2011

Armonicamente disarmonica


Maledettamente complicata 
Come una muta di corde 
Sensibile a ogni tocco 
A ogni singola pizzicata
All'apparenza lineare
Stabile, sicura
Ma con l'anima annodata

Tesa tra il tiracorde e il capotasto 
Vibrante sulla cassa 
Dal suono amplificato 
Melodia armonica in un ripetersi di note 
Fino a quando la corda si spezza
Sotto un tocco maldestro o usurata dal tempo 
E la musica inevitabilmente 
Muore dentro

Tommy Emmanuel
"Angelina"

Le parole che non ti ho mai detto

Ti ricordi quando ti ho detto che andava tutto bene?
Ecco, bravo! Mentivo...
«Non alzare la voce.» Lo so che lo diresti, anche se ora non posso più sentirlo. 
«Contieniti!» È diventato il motto della mia vita.
«Salviamo le apparenze.» Ma quali apparenze in mezzo a tutto questo niente? 
Ho voglia di urlare la mia rabbia a un mondo che non sente. 
Sì, proprio come un pazzo!  
Vorrei uscire fuori e urlare quel che oggi fa male e mi logora nel profondo. 
Vorrei riempire di parole il vuoto che hai lasciato. 
Vorrei... 
Ma le parole non escono e rimane ancora inesorabile questo assordante silenzio. 


Ti voglio bene. So che ora puoi sentire le parole che non ti ho mai detto. 

domenica 6 novembre 2011

Lacrime di un cielo ormai stanco



Un vento gelido di tramontana sferza le onde 
rendendole docili al suo passaggio.
Come un domatore esperto le accompagna nelle loro evoluzioni 
fino a lasciarle lì,
a confondersi in questo immenso mare.

Illusoriamente immote nel loro eterno movimento.
Nubi scure si alternano 
specchiandosi in un mare ormai senza riflesso.
Presagio di pioggia.
Acqua che cade dritta dal cielo

a bagnare una terra che la brama da tempo.

Un uomo,
essere piccolo in tutto questo immenso,
trova rifugio e riparo dal
vento.
Con il corpo scosso da brividi, osserva attonito,
ormai vinto dal freddo.
Sguardo fisso e già perso.

Pioggia che scende pesante, incurante 

di un vento troppo leggero 
per riuscire a domare o semplicemente a deviare.
Acqua in caduta libera,
lacrime di un cielo ormai stanco.

Fuori dalla finestra la marea si alza,
il buio avanza,
isolando così quel suo piccolo angolo di mondo.


"Dolcenera"
Fabrizio De Andrè


A Genova, 
ferita 
ma pronta a rialzarsi.

martedì 30 agosto 2011

Acciughe fritte e Vino bianco

La canicola smette di giocare a nascondino col bitume e mette fuori il naso da questa distesa di asfalto calcata dai miei piedi.
Prima timida sfiora il mio alluce. Rendendosi sempre più audace avvolge il mio corpo ormai totalmente sopraffatto dal calore. L'estate con la sua afa mi accompagna oggi, quasi prendendomi per mano, in questo viaggio nei ricordi.
Una musica lontana accarezza le mie orecchie. Parole e note s'impossessano di me facendomi trasalire.
http://www.youtube.com/watch?v=5C-WjiKbtEw&feature=youtu.be
Un melanconico brivido mi assale, scuotendomi nel profondo. Vedo il tuo viso, percepisco il tuo profumo... nonostante tu non sia più qui, da lungo tempo ormai.
Tu che mi sei stato padre, nonostante non lo fossi, mi cammini affianco e mi tendi la mano.
Il tetro grigio bitume si trasforma in salvifico blu oltremare. I miei piedi lasciano l'asfalto per calcare un liscio  legno di teak che ricopre, quasi a vestirlo, lo scafo di una barca.
La tua presa è salda mentre avvolgi la cima intorno alla bitta.
Il tuo braccio fermo è proteso verso di me.
Con una sicurezza che non mi appartiene rispondo al tuo gesto incrociando la mia mano nella tua.
Un leggero salto e la terra ferma è raggiunta.
Io e te ancora, per una volta, fianco a fianco.
«Acciughe fritte e vino bianco?».

Il mio ricordo si ferma qui al bar del porto di un paese così familiare da permettermi di sentirmi a casa. Con i suoi tavoli in legno mangiati dal salmastro ci accoglie insieme, seduti uno in fronte all'altro, mentre aspettiamo lei... nonostante non sia più qui, da lungo tempo ormai.
Lei che mi è stata madre, nonostante non lo fosse, arriva con passo sicuro, ammiccando nella nostra direzione.
Un brindisi, un'acciuga presa per la coda... 


Ritorno sul mio asfalto avvolta da questa melanconica canicola, arrivata ormai a lambirmi il cuore.


Tu, nei miei ricordi sei e rimani mare.

ACCIUGHE FRITTE
Ingredienti: (x 4 persone)
800g di acciughe fresche
200 g di pane grattato 
Olio di semi di arachidi, o di girasole, o di mais
3 uova
sale q.b.


Pulire le acciughe levando la testa, aprendole a libro ed eliminandone la lisca centrale, risciacquarle quindi sotto l’acqua del rubinetto.
Passare le acciughe nell'uovo sbattuto ed infine nel pan grattato.
Cuocere in abbondante olio di semi ben caldo.  
Appena saranno dorate... il gioco è fatto!

"Le acciughe fanno il pallone"
Fabrizio De Andrè

Licenza Creative Commons
Foto  Kialaz

sabato 30 luglio 2011

L'unico vero dono che posso lasciarti

Figlio mio.
Oggi sei giovane, ma troppo velocemente crescerai fino a diventare vecchio.
Non puoi permetterti, di conseguenza, di vivere senza dare il giusto peso a ogni singolo momento che ti sarà regalato.
Solo così un giorno, guardandoti indietro, capirai che nulla è andato sprecato.

La vita è un dono grande e merita di essere vissuta appieno.
È un crescendo continuo. Un'evoluzione in moto perpetuo.
Guarda l'album delle fotografie che accompagna queste mie righe.
Come sono cambiato negli anni ma come riesco comunque a sorridere all'obiettivo.
Io rido, nonostante i capelli che s’imbiancano e le rughe che si fanno più profonde.
Questa vita mi ha regalato tanto e soprattutto mi ha dato te.
Che grave perdita sarebbe stata se, nei momenti difficili, avessi fatto vincere lo sconforto, dimenticando la bellezza che la vita può darci.
Tu non ci saresti e probabilmente neanche io.
Ebbene sì, figlio mio, io sono un uomo felice.
Oggi come ieri sorrido alla vita che mi ha dato la possibilità di farsi vivere, scoprire e conoscere.
La consapevolezza di aver vissuto al meglio mi rende un uomo migliore.
Ricorda, figlio mio, che un abbraccio sincero, la più semplice carezza, qualsiasi gesto che parta dal cuore è in grado di riempire la vita come non puoi ancora immaginare.
Non sprecare il tempo cercando di acquistare quella felicità finta che solo i soldi possono darti.
Sii consapevole che anche il più bel vestito con il tempo passa di moda.
Ama in grande.
Apprezza la natura che potrà confonderti ma mai tradirti.
Vivi di musica e arte.
Impara a conoscere i grandi scrittori.
Fai tuo ogni momento come fosse il più gran regalo.
Questo è l'unico vero dono che posso lasciarti e spero ti accompagnerà lungo le fasi della tua vita.
Vorrei poter continuare a camminare con te, andare lontano, ma non so per quanto ancora le forze me lo consentiranno.
Io ti sarò comunque accanto in ogni istante, anche quando della mia presenza sentirai la mancanza, perché ci apparteniamo e perché l'amore incondizionato è indissolubile.
Io sarò nuova forza quando sentirai di arrancare e nuovo stimolo quando penserai di abbandonare.
Ricorda, comunque, che tutte le risorse per andare avanti sono ben radicate dentro te stesso.
Hai davanti a te le tre epoche della vita, vivile al meglio.
Continua a sorridere, figlio mio, perché anche un vecchio col bastone può ancora farlo e le fotografie che ti ho lasciato ne sono la prova.
Rallenta il passo ma non smettere mai di camminare.
Riposa la vista ma non smettere mai di guardare.
La bellezza del mondo non muta, è solo il nostro modo di osservare che cambia con il passare del tempo.
Non far mai trionfare il disincanto.
Non dare troppe cose per scontato durante la giovinezza per non rischiare di ritrovarti come me oggi, un vecchio col bastone che vorrebbe prendere a morsi la vita.
Guarda quella foto di me bambino sulla spiaggia e confrontala con quella, dove il grigio dei miei capelli è messo in risalto dai raggi del sole.
Non è cambiato il blu intenso del mare, sfumato a tratti solo dal bianco candore delle creste delle onde.
Non sono cambiati l'odore acre del salmastro e il calore sotto i piedi a contatto con la sabbia.
So che puoi immaginare tutto questo e ti prego, fallo.
Prenditi un attimo del tuo tempo e pensa.
Solo la mia immagine è mutata negli anni, ma l'emozione rimane inalterata.
Ricorda che anche una vista appannata riconosce la meraviglia.

Tieni sempre a mente che questa vita è come una scala, composta solo da tre gradini.
Io ho raggiunto quello più alto, mentre tu devi ancora abbandonare il primo.
Non chiederti mai cosa possa esserci oltre, ma confida che ci sarà un luogo e un domani dove potremo incontrarci ancora, figlio mio.


Licenza Creative Commons
Foto  Kialaz

giovedì 28 luglio 2011

Voglia di meraviglia

Sopraffatta da un bombardamento mediatico di orrore,
voglio che i miei occhi riconoscano ancora la meraviglia.
Stanca di vedere, sentire, percepire cose che lacerano l'anima
voglio che i miei occhi riconoscano ancora la meraviglia.


Voglio perdermi 
nel verde intenso di questi fili d'erba, 
nel bianco lanoso candore di queste pecore al pascolo,
nella sicurezza di questo cane da pastore,
nel sorriso di chi mi sta accanto
e nel riconoscere in quel sorriso la voglia di camminare ancora insieme.


Foto  Kialaz

martedì 26 luglio 2011

Immobile movimento


Le nuvole corrono veloci 
in cielo
nonostante il tempo
sembri essersi fermato.

Foto  Kialaz

domenica 24 aprile 2011

Nostalgicamente Pasqua

La Pasqua delle colombe e delle uova al cioccolato.
La Pasqua delle famiglie riunite insieme a pranzo.

È in giorni come questo che riaffiora un po' il dolore 
che si riassume nella mancanza che custodisco nel profondo.
Ci sono posti a tavola destinati a rimanere vuoti 
da riempire di ricordi. 
I posti di una famiglia che non è morta nel mio cuore.
Oggi nella mia Pasqua ho apparecchiato anche per loro.
È il mio modo per ringraziare e stringere ancora
chi c'è stato nel passato e mi fa vivere nel ricordo del suo amore.

La mia mente vi ricorda e il mio cuore è con voi.

Leonard Cohen "Halleluja"

domenica 17 aprile 2011

Il mio personale negozio di fiducia

Mi sistemo i capelli, ammirandomi nel mio specchietto tascabile, scendo dalla mia vecchia macchina, passo oltre i sacchetti della spazzatura e, guardandoli, sorrido.
Non mi curo della coda di veicoli in ingresso al parcheggio, non mi importa, questa è la mia domenica e niente potrebbe rovinarla. 
Con indosso il mio vestito migliore, ferma davanti alla porta scorrevole, tiro un profondo sospiro e entro nel mio personale paese dei balocchi.
Musica, luci, colori si impossessano di me mentre cammino, lenta, davanti alle vetrine per non perdermi neanche il minimo dettaglio.
"Questa è solo l'anticamera", penso estasiata.

Gonne lunghe, corte, grigie, nere o colorate fanno bella mostra di sè insieme a magliette di ogni tinta e misura.
Mi trovo a immaginarmi mentre indosso ogni capo, simulando il mio personale defilè.
"Non è facile scegliere", mi ripeto, specchiandomi nella vetrina, fino a quando un completo, gonna e camicetta, rosa chiaro, esposto alla mia destra, attira definitivamente la mia attenzione. 
La scelta è fatta senza ulteriori esitazioni.

Una signora, splendidamente vestita passa oltre, lasciandosi dietro una leggera scia di profumo.
Quasi ipnotizzata, la seguo, cercando di emulare il suo incedere fiero e deciso, fino a trovarmi all'interno di un’enorme profumeria, ormai sopraffatta da mille essenze che mi aggrediscono le narici.
Centinaia di boccette colorate mi si parano davanti, tutte meticolosamente esposte su immensi scaffali.
Una ragazza bionda, sulla trentina, intenta in un’animata conversazione al cellulare, mi passa accanto e, quasi senza notarmi, allunga una mano verso una boccetta, si spruzza sul polso una leggera scia di profumo e si allontana.
Mi guardo intorno e, come un bambino pronto a scartare i suoi regali di Natale, emulo gli stessi gesti appena visti compiere, poi, avvicinando il polso al naso, mi lascio rapire da quel profumo dolciastro. Una lacrima mi bagna il viso, commossa, esco dal negozio e mi siedo su una delle panchine, schierate in perfetto ordine, al centro di quell’immenso corridoio sul quale si affacciano vetrine piene di luci e colori.
Dal mio personale posto in prima fila sul mondo, osservo l’andirivieni che mi si para davanti e mi godo ogni momento di quell’immensa emozione.

Immaginandomi avvolta nel mio nuovo completo rosa chiaro e lasciandomi inebriare dal profumo, mi dirigo verso l'ingresso del supermercato.
Accanto al reparto “frutta e verdura”, vicino al banco frigo, preposto allo stoccaggio dei latticini, intravedo una donna in divisa verde acceso, intenta a tagliare tanti piccoli cubetti da una forma di formaggio, per offrirli come assaggio agli avventori intenti nei loro acquisti.
E’ l’ora di pranzo e un leggero languore mi spinge, in maniera quasi del tutto inconsapevole, a dirigermi verso quella donna che mi porge, dopo una breve spiegazione di rito, il piccolo boccone.
Un leggero pizzicore mi invade la bocca, aumentandomi la salivazione; deglutisco estasiata e mi gusto ogni minima briciola di quel cubetto saporito.

Barattoli con etichette colorate, scatole di ogni forma e dimensione invadono scaffali che delimitano, dividendo in corridoi, questo immenso spazio adibito a supermercato.
Un bambino piange davanti alle confezioni delle merendine per farsi comprare dalla mamma, indispettita, l’ultimo concentrato di grassi uscito sul mercato, mentre, non distante, un anziano signore discute con la moglie, intenta ad ingaggiare la sua personale guerra contro i biscotti portatori sani di colesterolo.
Li osservo divertita qualche istante e passo oltre, ritrovandomi in coda davanti alle casse.
Nonostante non abbia fatto acquisti, sosto con gli altri clienti in attesa, osservandone il contenuto dei carrelli e provando a fantasticare sulla destinazione e l’uso di ogni singolo prodotto.
Senza accorgermene arriva il mio turno, una cassiera grassoccia mi accenna un saluto, con un sorriso le mostro le mani, vuote, ed esco a passo svelto dalla barriera delle casse.

Dopo un breve passaggio alla toilette delle signore, allo scopo di rinfrescarmi e sciacquarmi la bocca, ormai inesorabilmente impastata dal piccolo assaggio, mi accomodo sulla stessa panchina che mi ha ospitata in precedenza e continuo a osservare la gente, le loro dinamiche, fantasticando sugli eventuali acquisti che avrei potuto fare.

Esco dal centro commerciale mi avvicino ai sacchetti dei rifiuti, raccolgo una vecchia bambola abbandonata e, dopo averla infilata meticolosamente in un sacchetto col marchio di uno dei negozi appena ammirati, torno alla macchina.
Il mio personale acquisto era appena stato fatto nel mio unico negozio di fiducia.
Sistemo la bambola sul sedile del passeggero, vicino a una vecchia coperta di lana e un cuscino avvolto in un federa sgualcita.
Mi avvio verso la portiera dal lato guidatore, voltandomi un ultimo istante verso l'ingresso del centro commerciale.
Ancora colma di gratitudine verso la giornata appena trascorsa, monto in macchina e, specchiandomi nello specchietto retrovisore, sorrido in un misto di gioia malinconica. Il completo rosa non c'è più ma rimane quello splendido profumo che riempie lentamente l'abitacolo.
Stringendo forte al petto la mia nuova bambola, mi accomodo alla bene meglio sul sedile e, senza mettere in moto, chiudo gli occhi.

Il mio nome è Agata, sono una senzatetto e questa è la mia macchina, la mia unica casa.

Conoscersi, scoprirsi per poi condividersi.

James Taylor/Carole King
"You've got a friend"




Senza direzione certa andare, 
lasciarsi travolgere dalla differente bellezza custodita dai singoli. 
Toccare con mano quello che ognuno può darci, 
scoprendo un mondo fuori dalla portata dei nostri stessi occhi. 

In pratica uno dei tanti sensi da dare alla vita che io ho riscoperto oggi.


martedì 12 aprile 2011

Anche i polpacci di Briegel possono avere il loro fascino

Chi non si porta dietro traumi giovanili alzi la mano.
Ecco, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu, con le cuffiette nelle orecchie, non fai testo, non avendo ascoltato la domanda.
Ora, tornando a noi, è innegabile che l'origine di questo tipo di trauma non sia necessariamente da ricercarsi in cose gravi; le cause, infatti, possono tranquillamente nascondersi nelle situazioni più comuni.
Per quanto riguarda me, ad esempio, il mio primo trauma deriva dal nome.
Vi chiederete come mi chiamo ed io sono qui pronta a dirvelo, nascondendo un lieve rossore sulle guance.
Marilù, mi chiamo Marilù. Ecco l'ho detto.
E cosa vuoi che sia? Vi chiederete voi.
Certo, paragonato a certi nomi che si usano oggi come Chanel o Maria Lourdes, per citarne due fra i più noti, il mio nome stupisce come un piccolo sasso gettato nello stagno, ma vi assicuro che durante la mia adolescenza la situazione era davvero diversa.
In mezzo a tante Maria, Francesca, Chiara, che senso aveva chiamare una bambina Marilù?
Mentre imparavo a convivere con questo nome nasceva in me un nuovo dramma, Barbie o macchinine?
Genitori, amici, parenti davano per scontato che una piccola bimba dagli occhi verdi e i boccoli d'oro dovesse per forza preferire quell'ammasso di plastica con i capelli incorporati al posto di quei piccoli oggetti di metallo.
Come forse avrete capito, però, non era questo il caso.
La Barbie, niente di più inutile per me, o meglio utilissima solo a testare la resistenza dei denti.
Non guardatemi con quella faccia perplessa ora.
Chi di voi non ha mai masticato i piedi alle Barbie alzi la mano.
Ecco, per l'ennesima volta, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu, con le cuffiette nelle orecchie, ancora non fai testo, non avendo ascoltato la domanda.
Le macchinine di ferro, indistruttibili, assolutamente impossibili da masticare, le porto nel cuore ancora oggi.
I garages fatti con le scatole da scarpe, le piste delimitate dai mattoncini Lego, indimenticabili!
Archiviato il capitolo nome e dopo aver convinto tutti che un Natale non può essere felice senza le macchinine sotto l'albero, è arrivato il dramma dell'adolescenza sotto le spoglie della classica pin up bionda.
Valentina ricordo ancora il nome, ma quello che realmente non dimentico è il suo smalto sulle unghie, le sue sopracciglia perfette, i suoi capelli mai fuori posto.
Una Barbie, ecco cosa mi ricordava Valentina ogni volta che entrava in classe la mattina.
Peccato, però, non si potesse masticarle i piedi!
Chi di voi non si è mai chiesto come facessero quei capelli a non perdere mai la messa in piega alzi la mano.
Ecco, mi devo ripetere, come immaginavo, nessuno o quasi.
Sempre tu, con le cuffiette nelle orecchie, non sarebbe il caso di iniziare ad ascoltare?
Poi sono arrivati i miei sedici anni, le prime feste che ricordo ancora con una malcelata angoscia.
Valentina sempre pronta in prima fila con i suoi capelli perfetti che lasciavano però il palcoscenico a un seno prominente che certamente non passava inosservato.
A chi tutto e a chi niente!
Ora voi potete solo immaginare mentre, vi assicuro, ai tempi della scuola, i maschietti passavano il loro tempo a guardare.
Ricordo ancora la prima festa, il mio vestito in taffettà, a come mi sentissi emozionata mentre lo indossavo e a come tentavo di vincere l'imbarazzo fra la gente.
C'ero quasi riuscita quando è entrata lei, Valentina, con un vestito che stava sù da solo, sorretto da due grandi respingenti.
Era così sicura di sé che le avrei volentieri fatto lo sgambetto per vedere se, cadendo, si sarebbero scompigliati i capelli.
E invece niente, uno a zero palla al centro.
Va bene, lo ammetto, tutto quello che vi ho raccontato fino ad ora, non è poi così grave se non si considera il malessere segreto che mi rendeva così insofferente nei confronti di quella platinata pin up.
Per spiegarvelo, però, ho bisogno di fare una breve premessa parlandovi di scarpe.
Sono cresciuta con una madre che potrei definire, senza aver paura di esagerare, una delle principali azioniste dell'industria calzaturiera italiana.
Nella sua immensa scarpiera, in mezzo a ballerine blu, infradito rosse, stivaletti marroni, ricordo ancora, con una precisione tale che potrei descriverle nel minimo dettaglio, un paio di decolté nere con il tacco.
Adoravo quelle scarpe e più le guardavo più mi convincevo fossero perfette con il mio vestito nuovo di taffettà scelto per la festa.
Come una Cenerentola, momentaneamente senza principe, mi accingevo allora a provarle insieme a mia madre, miracolosamente al mio fianco.
Non so dirvi se l'emozione che provo al momento sia per il ricordo delle scarpe o per la presenza che mi stava accanto.   
Fate voi, io sto già raccontando oltre a quello che solitamente sono in grado di fare.  
Le scarpe mi calzavano alla perfezione e la camminata, nonostante la goffaggine, risultava tutto sommato sicura.
Sarebbe stato tutto perfetto se qualcuno non avesse inventato lo specchio.
La mia immagine riflessa palesava, infatti, il mio incubo segreto che mi perseguitava da tanto tempo.
Più mi guardavo e meno mi piacevo, più cercavo di essere rassicurata e meno mi convincevo.
Ricordo ancora la mia espressione disperata mentre dicevo a mia madre che sembravo Briegel con quei polpacci e lei che mi rispondeva di non essere sciocca, che al massimo le caviglie mi potevano sembrare un po' grosse.
Non lo avesse mai detto!
Senza dire una parola ho tolto le scarpe per indossare un paio di ballerine che, certo non avrebbero nascosto il polpaccio, ma almeno non lo avrebbero fatto notare; questo, stupidamente, continuavo a pensare.
Alla festa, per rispettare il detto 'piove sempre sul bagnato', Valentina indossava un paio di scarpe nere col tacco che, se non le avessi provate io stessa pochi minuti prima, le avrei scambiate per quelle di mia madre.
Chi di voi non si è mai sentito, almeno per una volta, inadeguato alzi la mano.
Ecco, come immaginavo, nessuno o quasi.
Tu con le cuffiette nelle orecchie, questa volta dovresti proprio partecipare. 
Ora, detto fra noi, io, Marilù, non ero poi proprio da buttare.
Quei polpacci insieme a quelle scarpe col tacco però erano davvero “un matrimonio che non s’ha da fare”.
Chiedo scusa, sto divagando, sarà meglio tornare alla festa e continuare a raccontare.
Il momento del ballo era arrivato e sulle note di “Hey Boy, Hey Girl”, grande successo dei Chemical Brothers, ricordo ancora Valentina togliersi le scarpe per essere più comoda e iniziare a ballare.
Ebbene sì, anche le pin up a sedici anni hanno ancora cose da imparare!
Finita la musica, il silenzio improvviso era rotto solo dal pianto di Valentina che aveva ormai perso la sua scarpina.
Qualcuno le aveva sottratto il decolté, approfittando della sua distrazione durante il ballo.
Non abbiate dubbi comunque, l’allarme sarebbe purtroppo presto rientrato.
Il suo principe, infatti, sotto le spoglie di un padre sempre presente, sarebbe arrivato dopo poco, in soccorso della sua Cenerentola, con un paio di scarpe pronte all'uso e il danno sarebbe stato così riparato.
Chi non ha sorriso, almeno per un secondo, per la scena appena narrata, alzi la mano.
Ecco, come immaginavo nessuno o quasi.
Tu con le cuffiette nelle orecchie, stai ridendo. Allora riesci comunque ad ascoltare!
Ora che, a distanza di anni, ho imparato a convivere con le “Valentina” di turno, ma non con i polpacci alla Briegel, posso provare a spiegarvi le motivazioni occulte di tutta l'invidia che portavo nel cuore.
Valentina aveva una madre, sempre al suo fianco, che le aveva inculcato come accentuare quella femminilità che a me assolutamente mancava.
Col senno di poi posso assicurarvi che il mio rancore nei confronti di Valentina si limitava al fatto di non avere anch'io una madre sempre accanto.
Come immagino molte figlie di genitori divorziati, ho passato l'adolescenza ad aspettare che la figura femminile più importante della mia vita tornasse a casa da lavoro e, pur di passare qualche minuto insieme, anche le sopracciglia mi sarei fatta sistemare.
Penserete che siano futili motivi per provare invidia o malcelato rancore ma, vi assicuro, a sedici anni nulla era per me più importante che riuscire a condividere con mia madre anche solo qualche breve istante.

Con il complesso del polpaccio stile Briegel vado avanti ancora oggi ma mi porto una nuova certezza, ben salda in fondo al cuore, anche chi nasce un po' maschiaccio, è femminile quando vuole.

Ah! Quasi dimenticavo!
Sono stata io a nascondere le scarpe di Valentina durante la festa e le ho nascoste così bene che credo le cerchi ancora.


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