Inizia ad albeggiare e, nel fresco mattino, l’azzurro pallido del cielo abbandona le sue stelle per lasciare posto alle molteplici sfumature di rosa e di lilla delle nuvole che si stagliano sopra il sole nascente.
Meraviglia per occhi attenti, opera d’arte di un pittore pazzo.
Saluta l’alba Zeno, assorto nei suoi pensieri, distratto solo dallo sferragliare del treno che, sicuro sulle rotaie, travalica la linea immaginaria, posta anni prima, come limite invalicabile, dove finiscono i ricordi e inizia la libertà.
Ritorna Zeno a quella che è stata la sua casa di bambino prima e adolescente poi;
a quello che rimane e rimarrà per sempre il suo scrigno dei ricordi, da aprirsi per provare malinconia e da chiudersi per tornare a volare.
Il marrone della terra arata lascia spazio al verde dei cipressi,
il giallo dei girasoli si perde nell’ocra dei muri in tufo delle case padronali.
Meraviglia per occhi attenti, opera d’arte di un pittore pazzo.
Saluta la campagna Zeno, assorto nei suoi pensieri, distratto solo dallo sferragliare del treno che fa il suo ingresso in stazione.
Si perde nei ricordi Zeno, nel torpore di una vita scandita sempre dagli stessi ritmi, nella lucida consapevolezza di essere arrivato dove non può restare, perché il sole gli brucerebbe le ali, col suo calore, allo stesso modo in cui spacca la terra in attesa di pioggia.
Un gabbiano, dopo un semplice battito d’ali, spicca il volo, plana, resta immobile e plana ancora, sorretto da invisibili correnti d’aria.
Ha uno sguardo che non guarda, perso verso l'infinito.
Nel suo volo guarda oltre, oltre il cielo, oltre il mondo.
Continua a volare Zeno, vivendo il presente così pregno di passato, perché i ricordi occupano il tempo di un istante, superato il quale è già futuro.
Si lascia travolgere Zeno, senza lasciarsi catturare, dalla voce degli amici, accantonati per anni seppur mai dimenticati; dal richiamo della polvere smossa, dal passaggio della sua vecchia bicicletta, sulle strade sterrate arse dal sole; dal semplice esistere della sua vita, incentrata in un passato che ormai non può più far male.
Nel cielo all’orizzonte il rosso dell’alba illumina già i campi e i cortili, definendo i profili delle case che si risvegliano lentamente.
Il silenzio è rotto dal cinguettare di uccellini irrequieti che vanno incontro al nuovo giorno.
Spettacolo per occhi attenti, melodia di un compositore pazzo.
Borbotta la caffettiera sulla stufa accesa, mentre scoppietta la legna nella bocca, regalando nuovo tepore.
“Che fine ha fatto il mio caffè questa mattina?”
Brontola Giovanni, mentre sfoglia il giornale, seduto davanti al tavolo della cucina, nel tentativo maldestro di nascondere l’eccitazione.
Lo asseconda Enza, ammiccando e porgendogli una tazzina fumante, fingendo di non notare l’agitazione che si nasconde nei gesti del marito.
Mani, dure come terra non ancora arata, tremano.
Rughe, profonde come crepe in un campo arido, si accentuano.
Occhi, che hanno visto troppo pur conoscendo il niente, osservano.
Non poteva permettersi Giovanni di manifestare gioia per l’imminente arrivo del suo primogenito, il suo unico figlio maschio.
Non era consentito a un uomo della sua tempra, ormai avanti negli anni, di provare questo tipo di emozioni, troppo femminili per cucirsele addosso.
Cosa avrebbero detto di lui i suoi amici al bar?
Sicuramente lo avrebbero deriso com’era successo a Fosco, tempo prima, quando la moglie era venuta a chiamarlo, durante una partita a briscola, semplicemente perché era pronta la cena.
Perdonate il paragone che probabilmente non regge ma, nella testa di Giovanni, vi assicuro, è assolutamente calzante.
Troppe volte infatti aveva manifestato dissenso per la partenza del figlio, parlandone con astio, vivendola come una fuga, sentendosi rinnegato.
Di conseguenza, come potrebbe ora manifestare felicità verso un ritorno temporaneo che sarebbe culminato in una nuova fuga?
Dalla remota spiaggia torna al nido il gabbiano, portando con lieve battito d'ali il ricordo dei tempi lontani.
Lo accoglie sulla soglia Enza, stringendolo in un abbraccio carico di gioia mista a tristezza; dopo qualche istante scioglie la stretta a malincuore e fissa il figlio intensamente, quasi a voler imprimere quel momento nella memoria, per non lasciarlo più andare via.
Lo aspetta seduto al tavolo della cucina Giovanni, nascosto dietro al giornale, nel tentativo pressante di nascondere la gioia che gli regala il suono di quella voce all’ingresso.
“Egli imparò a volare, e non si rammaricava per il prezzo che aveva dovuto pagare.
Scoprì che erano la noia e la paura e la rabbia a rendere così breve la vita di un gabbiano e che, solo spezzando le catene che imprigionano il pensiero, il corpo potrà essere finalmente libero di volare.”
Prova a spiegarsi Zeno, esaurite le domande di rito.
Finge di non capire Giovanni, aggiungendo rimostranze.
Vorrebbe abbattere quel muro Zeno; vorrebbe riuscire a spiegare la sua voglia di libertà, la sua necessità di inseguire nuove prospettive altrove e il senso di prigionia che quella terra inevitabilmente gli dava; vorrebbe trovare le parole adatte ma la voce gli si spezza in gola e il silenzio sovrasta tutto col suo rimbombo sordo.
Torna a brontolare Giovanni, mentre sfoglia il giornale nel tentativo maldestro di nascondere un sorriso.
Finge di non vedere Zeno, mentre sente il cuore sobbalzare.
In fondo non si può avere la pretesa di cambiare in corsa un atteggiamento, interpretato per così tanti anni, da far parte ormai del proprio modo di essere. Ma fidatevi, l’apparenza non conta!
Il marrone della terra arata lascia spazio al verde dei cipressi,
il giallo dei girasoli è stemperato dall'azzurro mare in lontananza.
Meraviglia per occhi attenti, opera d’arte di un pittore pazzo.
Ricorda il mare Zeno, l’odore acre del salmastro che punge le narici, il sale che brucia la pelle; quella distesa d’acqua dalle molteplici sfumature di blu che bagna la sua città, scelta come nuova casa, anni or sono, per affinità elettiva.
Torna a volare Zeno, mentre scende dal treno e attraversa la banchina, muovendo i suoi nuovi passi, finalmente alleggerito, verso l’infinito.
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